domenica 3 giugno 2012

i 400 colpi / cosmopolis



Un mondo claustrofobico all’interno di un’algida limousine che attraversa lenta New York, specchio di una società indesiderabile. Una prostata asimmetrica e un taglio di capelli da un solo lato, metafore dello squilibrio finanziario che sta devastando il mondo. Geniale e anzitempo De Lillo. Estenuate e cerebrale Cronenberg, il quale crea l’attesa di un lampo di genialità, che non trova compimento.



a.b.




Cosmopolis (titolo originale Cosmopolis), Canada, Francia 2012 - 105'
Attori: Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Mathieu Amalric, Jay Baruchel
Regia: David Cronenberg
Soggetto: Don DeLillo
Sceneggiatura: David Cronenberg
Montaggio: Ronald Sanders
Fotografia: Peter Suschitzky
Scenografia: Arvinder Grewal
Produzione: Alfama Films, Kinology, Prospero Pictures
Distribuzione: Entertainment One


sabato 26 maggio 2012

i 400 colpi / marigold hotel

L’India così difficile da interpretare senza inciampare in fastidiosi stereotipi. Soprattutto da parte dei britannici, essendo stati suoi colonizzatori. L’India: via di fuga da solitudine e problemi economici di un gruppo eterogeneo di anziani inglesi. L’India un tempo terra di conquista, diviene luogo di redenzione. Una commedia senile che insegna. Non è mai troppo tardi per cambiare prospettiva.

a.b.

Marigold Hotel (titolo originale The Best Exotic Marigold Hotel), Regno Unito 2012 - 124'
Attori: Judi Dench, Bill Nighy, Penelope Wilton, Dev Patel, Celia Imrie
Regia: John Madden
Sceneggiatura: Ol Parker
Montaggio: Chris Gill
Fotografia: Ben Davis
Scenografia: Alan MacDonald
Produzione: Blueprint Pictures, Imagination Abu Dhabi FZ et al.
Distribuzione: 20th Century Fox


martedì 1 maggio 2012

i 400 colpi / se mi lasci ti cancello

Voce del verbo dimenticamareÈ fantascienza pensare di cancellare un brutto ricordo, ma è una fantascienza su cui stanno lavorando alcuni ricercatori americani. Se asteniamo l’etica da ogni tipo di commento e il concetto di rimozione da ogni tipo di analisi psicoanalitica, rimane il destino, rimane l’happy ending e soprattutto rimane il fatto che amare, a volte, è anche parte di un grande errore.

eugenio giannetta

Eternal Sunshine of the Spotless Mind, USA 2004 – 108’
Attori: Jim Carrey, Kate Winslet, Elijah Wood, Kirsten Dunst, Tom Wilkinson
Regia: Michel Gondry
Sceneggiatura: Charlie Kaufman
Montaggio: Valdís Óskarsdóttir
Fotografia: Ellen Kuras
Scenografia: Dan Leigh
Effetti speciali: Drew Jiritano
Produttore esecutivo: Georges Bermann
Musiche: Jon Brion
Distribuzione: Eagle Pictures


lunedì 23 aprile 2012

i 400 colpi / lost in translation

Scena iniziale: un culo di donna meraviglioso. Scena finale: una promessa tra due innamorati fatta all’orecchio, bisbigliata, che nessuno sa. Tra queste due immagini di una bellezza rara passa un film che non ha luogo, che non ha direzione, proprio come i suoi personaggi. Un film alla ricerca della traduzione perfetta, che resta racchiuso in due sequenze senza bisogno di parole. Tradurre è creare.

eugenio giannetta

Lost in Translation, USA / Giappone 2003 – 105’
Attori: Bill Murray, Scarlett Johansson, Giovanni Ribisi
Regia: Sofia Coppola
Sceneggiatura: Sofia Coppola
Montaggio: Sarah Flack
Fotografia: Lance Acord
Scenografia: Towako Kuwajima, Tomomi Nishio
Produttore esecutivo: Francis Ford Coppola
Musiche: My Bloody Valentine, AA.VV


mercoledì 18 aprile 2012

etagere / l'amore ai tempi del colera, gabriel garcia marquez


Gabriel Garcia Marquez
L'amore ai tempi di colera
Oscar Mondadori


Ci sono libri che hanno di diritto un posto in libreria. Come quando sei sul tram e sale una donna incinta o un vecchietto. In automatico cedi il posto, in attesa di un sorriso di lei o del cappello che si leva lui.
Si tratta di libri che richiedono rispetto per il solo titolo. Perché un titolo può fare più spessore delle pagine stesse.
L’amore ai tempi del colera, per me, è uno di quei libri che per il solo fatto di essermi capitato tra le mani su una bancarella è stato acquistato, prima ancora di chiedermi se avessi voluto leggerlo.
Una copertina anonima. A me piacciono le copertine. Molti libri li scelgo dalle copertine. Come quando devi fare un regalo. E’ importante la carta per impacchettarlo. Fa la sua prima “figura” quando lo dai.
Ecco, questa copertina è, invece, davvero brutta.
Ma Marquez gode di una certa autorità, per cui Fermina e Florentino hanno cominciato ad accumulare polvere fino a quando il tempo d’attesa è scaduto e ho voluto conoscere la loro storia.
Non mi piacciono particolarmente i sentimentalismi. Soffro, e non poco, le smielate dichiarazioni d’amore così dannatamente lontane da qualunque esperienza personale. Mi irritano gli happy end venuti fuori dal cilindro più inaspettatamente di un coniglio bianco, o verde se fosse di Giuliano.
Per quanto, quindi, venga definito un’incredibile epopea romantica (motivo per cui, credo, sia rimasto poi così tanto tempo nella polvere), considero questa storia, invece, un’imponente racconto di vita. Certo, ogni storia d’amore è una storia di vita, ma quella di Florentino, a mio parere, è proprio una storia da tramandare, di quelle che ti lasciano giorni e giorni a riflettere su quanto sia vero quello che dice, su quanto sia fondamentale il suo implicito insegnamento.

Florentino è un uomo innamorato, non particolarmente bello, poco attraente e, oltretutto, fuorimoda.
Florentino ama Fermina.
Florentino vive di quell’amore.
Florentino non cambia mai idea, in cinquantatrè anni, sette mesi e undici giorni da quando l’hai vista.
Florentino è un uomo che crede.
Florentino è un uomo che attende.

Le attese sono quotidiane. Attendiamo il tram, attendiamo la sveglia, attendiamo l’inizio di un film. Attendiamo un sacco di cose.
Attendiamo anche chi amiamo. Attendiamo che ci ricambi i sentimenti, attendiamo che ci dica ti amo, attendiamo che ci baci, attendiamo che ci chieda di sposarlo.
Attendiamo un sacco di cose.

Ma soprattutto, attendiamo quando lui smette di amarci.
Quando qualcuno decide di troncare una storia, decide di non stare più con noi. Di non condividere giorni e notti, parole e pensieri, baci e carezze, decisioni e litigi. Quando qualcuno decide di troncare una storia inizia un dramma quando la controparte è ancora innamorata. Parte in automatico l’attesa. L’attesa che cambi idea, che si renda conto che è stato lo sconforto di un attimo, che la nostra assenza è un macigno rispetto al contrario. Attendiamo che il telefono risquilli perché parlare, in certi casi, non fa mai male. Attendiamo di incontrarlo casualmente per strada e osservare le reazioni rispetto al nuovo taglio di capelli o alla compagnia che ci portiamo accanto. Attendiamo un qualunque segnale, insomma, che ci lasci ancorati a quel sentimento che pare essere inversamente proporzionale alla distanza sempre maggiore che intercorre col passare del tempo.

venerdì 30 marzo 2012

i 400 colpi / 17 filles


Quando la perpetuazione del genere umano diventa gesto politico, scontro generazionale, lotta alla crisi economica e scontro tra generi sessuali nel quale l'uomo è relegato ad attore secondario e donatore di sperma occasionale, siamo di fronte a un film; il punto è che questo film-documentario magistralmente diretto tra neorealismo e piani ravvicinati è una storia vera. Paura o presa di coscienza?

eugenio giannetta

17 ragazze (titolo originale 17 filles), Francia 2011 - 90'

Attori: Louise Grinberb, Juliette Darche, Roxane Duran, Esther Garrel, Yara Pilartz
Regia: Delphine Coulin, Mouriel Coulin
Sceneggiatura: Delphine Coulin, Mouriel Coulin
Montaggio: Guy Lecorne
Fotografia: Jean-Louis Vialard
Scenografia: Benoît Pfauwadel
Produzione: Archipel 35, Arte France Cinema
Distribuzione: Teodora Film


countdown -93 / treefingers, radiohead


...aurore boreali metropolitane...


lapis / città della pianura, cormac mccarthy


Cormac McCarthy
Trilogia della frontiera
Città della pianura
Einaudi, 2008



Le luci lontane della città, a sud, si stendevano sul fondo del deserto come un diadema appoggiato sul panno nero di un gioielliere.
(p. 812)

Quando sei bambino hai tutte queste idee su come sarà il futuro, disse Billy. Poi cresci un po', e cominci a ridimensionare le aspettative. Secondo me alla fine del processo ti riduci a cercare solo di soffrire il meno possibile.
(p. 802)

E sopra ogni cosa una profonda, profondissima consapevolezza del fatto che bellezza e perdita sono tutt'uno.
(pp. 794-795)

giovedì 29 marzo 2012

countdown -94 / prove yourself, radiohead

...un giorno di ordinaria insoddisfazione...




«I want to breathe, I want to grow
I’d say I want it but I don’t know how
I work, I bleed, I beg, I pray,
but I’m better off dead
I’m better off dead
I’m better off».

mercoledì 28 marzo 2012

countdown -95 / backdrifts, radiohead

sospeso sul bordo
un soffio di vento e precipiteresti
un passo indietro. ancora uno. e uno ancora
le impronte non si cancellano
non hai nulla da perdere


«What the hell, we’ve got nothing more to lose
One gust and we will probably crumble
We’re backdrifters»

martedì 27 marzo 2012

i 400 colpi / ACAB - All Cops Are Bastards

Alla ricerca di un equilibrio tra le mie idee e gli ideali che dovrei proteggere, io e i miei “fratelli” troviamo sempre “altro”contro cui combattere. Forse è più facile incolpare un altro che se stessi se la vita non è come la vorrei, forse è più facile usare il manganello piuttosto che il cervello. Forse è più semplice stare in gruppo e non da soli. Ma il cellerino è davvero “figlio di puttana”?

pierre


ACAB – All Cops Are Bastards (Italia, Francia – 2012 - 112')

Attori: Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini.
Regia: Stefano Sollima.
Soggetto: Carlo Bonini.
Sceneggiatura: Barbara Petronio, Daniela Cesrano, Leonardo Valenti.
Montaggio: Patrizio Marone.
Scenografia: Paola Comencini.
Musiche: Mokadelic.



countdown -96 / morning bell, radiohead


La campana del mattino.
La separazione dall'incubo e l'incubo della separazione.
Liberato o ancora schiavo?





«The lights are on but nobody’s home
Everybody wants to be a slave
Walking walking walking…

The lights are on but nobody’s at home
Everyone wants to be a friend

Nobody wants to be a slave».


lunedì 26 marzo 2012

countdown -97 / street spirit , radiohead


Iniziò una sera di una quindicina di anni fa.
E iniziò così.


«immerse your soul in love»

venerdì 23 marzo 2012

etagere / il tallone di ferro, jack london



Dietro lo scaffale Ogni anno ha i suoi (buoni) propositi. Sulla prima pagina del mio primo taccuino del 2012, scorrendo veloce, leggo: l'Atlantico dall'altra parte dell'Atlantico, ancora illudersi di poter correre una maratona, niente più sottotitoli, il derby di Glasgow con la maglietta di Larsson, una foto con Ismael Urzaiz, una notte – sveglio - su un peschereccio, un suo sorriso che immagino irripetibile...leggere l'intera bibliografia di Jack London. Ora non per Martin Eden e per Il popolo degli abissi già da tempo stellette sul mio scaffale, ma la (singola) sfida sembra partire in discesa. Una discesa insidiosa: in regalo da mia sorella, l'edizione della Newton Compton, apparentemente omnia a farsi ingannare dallo spessore. E così dopo Il richiamo della foresta, Il lupo dei mari e Zanna Bianca, il rigoroso ordine progressivo delle pagine mi riserva Il Tallone di Ferro.

Perché leggerlo London doveva avere mani grosse. Le mani di chi ha dovuto lavorare duro per (soprav)vivere. Non importa se in mare a inseguire foche o nel gelo del Klondike a cercare oro. Almeno fino a che il velluto delle pagine di successo scritte non le hanno guantate, quelle mani si sono sporcate e si sono ingrossate. E le mani, anche a distanza di anni, continuano a ricordarti chi sei e da dove arrivi. London ne Il Tallone di Ferro così si schiera solidale dalla parte di chi i calli li ha da sempre a mappare le proprie tremende fatiche. Disumane, sarebbe meglio dire. London, attraverso l'espediente narrativo del ritrovamento di un manoscritto a firma di una figlia della borghesia convertita alla causa della rivoluzione socialista, non fa altro che porre il proprio sguardo coinvolgente e documentaristico su quel 'popolo degli abissi', quel (sotto)proletariato, realmente sfruttato e violentato solo per arricchire i pochi. Oligarchia e Plutocrazia, non a caso, diventano poi nella finzione il volto bifronte dell'indefinito e dittatoriale antagonista che si espande e che bisogna rovesciare. La trama rimane in superficie, perché a interessar(ti) sono solo i reali e spietati ingranaggi di quel sistema di produzione industriale, sempre più calcolato e lucido, capace di dominare e calpestare brutalmente fisico e dignità di chi ha dimenticato se le proprie mani le usa per lavorare o per sopravvivere solo un giorno in più. E di chi imparerà a usare quelle mani, in un futuro lontano, per creare un nuovo e più giusto ordine, dopo che il sangue degli ultimi avrà scavato e ribollito a sufficienza nei moderni canyon di palazzi e strade.

Perché non leggerlo Quel fuoco capace di ardere e scaldare in tante altre pagine londoniane, qui, non scoppietta. Non riesce veramente a tenere compagnia, ad appassionare, a coinvolgere. I personaggi, non solo i protagonisti Avis ed Ernest, si diluiscono troppo nel didascalico racconto di un racconto. E i momenti di 'didattica', declinati anche con le frequenti note, sono artifici che hanno sì il merito di delineare i contorni della storia, calibrandone l'angolo di osservazione, ma asciugano l'empatia, rendendola troppo stanca e accidentale.

La frase  «Uomini, donne e bambini, vestiti di stracci e cenci, oscure intelligenze feroci i cui lineamenti avevano preso le sembianze divine e avevano impresse quelle diaboliche, scimmie e tigri, bestie da soma anemiche, tisiche e pelose, volti esangui da cui la società vampira aveva succhiato la linfa vitale, forme gonfie ingrossate dall'obesità e dalla corruzione fisica, megere avvizzite e teste di morto barbute come patriarchi, gioventù putrefatta e putrefatta vecchiaia, volti di demoni, mostri deformi, ricurvi, sfigurati dalla devastazione della malattia e dagli errori della denutrizione cronica, rifiuto e feccia della vita, un'orda furiosa urlante, stridente, demoniaca».

Déjà lu  Il popolo degli abissi, Jack London; 1984, George Orwell; La macchina del tempo, Herbert George Weels; La giungla, Upton Sinclair; Il mondo nuovo, Aldous Huxley.

giovanni teolis


giovedì 22 marzo 2012

etagere / open, andre agassi


Andre Agassi è un narcisista. Open (ed. Einaudi, pp. 496, euro 20) è l’opera di un narcisista. Io lo amo per questo motivo. Non un narcisista nel senso banale del termine, come lo utilizzano i più o come lo etichettavano i giornaletti, ma un narcisista vero, clinico, infido e sotterraneo. In Open, la storia di un uomo prima e di un tennista poi, fino a che i piani non si sovrappongono (sei ciò che fai), emerge l’ossessione della perfezione, la necessità di approvazione, l’armoniosità sconvolgente della precisione. Emerge la differenza tra i traumi intesi come eventi e i traumi emotivi. Emergono le mancanze della struttura di personalità. Emerge la rabbia, la gestione delle pulsioni e il bisogno spasmodico del controllo. Emerge un rapporto conflittuale con le autorità, che non è altro se non un bisogno di attenzione, una ricerca di comprensione, una richiesta di amore.

Agassi direbbe che non ho capito nulla del libro e mi punterebbe una palla pelosa alla nuca, ma già solo il fatto di essere in contrasto sullo stesso ring che è la vita, unisce i nostri destini. E’ importante che ci sia chiarezza nei confini; che sia un campo da tennis o uno spazio fluido nel quale sguazzare. Agassi è un coraggioso, uno che ha capito le possibilità della tridimensionalità e non si è limitato a vivere la geometria della vita su una retta; è uno che ha saputo dare gli effetti giusti alla vita, alla palla... Il fallimento è solo un modo di crescere, ed è un modo che si sceglie, soprattutto per una mente iper razionale sconvolta da ondate emotive di ansietà e angoscia. Come la sua, come...

Paradossalmente Agassi inizia a vincere quando inizia ad amare e inizia ad amare quando inizia a regredire, ma non nel senso comune del termine, bensì nella libertà di scelta, nell’assenza di pensieri tipica dell’infanzia, tipica dell’innamoramento: non cercare l'amore, cerca con amore. Agassi raggiunge un momento in cui trasforma l’aggressività nevrotica, trasforma le risposte difensive, trasforma tutti i suoi pasticci cognitivi e smette di barare con la vita, smette con Las Vegas, smette di dire bugie a se stesso e a tutti quelli che ha attorno. Smette di recitare una parte. Questo mi fa amare Agassi (e Agassi o lo ami o lo odi); questo mi fa amare il libro. Leggerlo e pensare: lui c’è riuscito, è un passo che voglio fare anche io. Crampi o non crampi, allo stomaco o alle gambe, è un passo necessario per una sopravvivenza che possa tramutarsi e definirsi esistenza.

eugenio giannetta



mercoledì 21 marzo 2012

lapis / open, andre agassi


La vita è un incontro di tennis tra estremi polarmente opposti. Vincere e perdere, amare e odiare, aperto e chiuso. E' utile riconoscere presto questo fatto penoso. Quindi riconoscete gli estremi contrapposti in voi e se non riuscite ad accettarli o a riconciliarvi con essi, almeno ammetteteli e tirate avanti. L'unica cosa che non potete fare è ignorarli.

pagina 490


Certe persone sono termometri, altre termostati. Tu sei un termostato. Non registri la temperatura in una stanza, la cambi. Perciò sii fiducioso, sii te stesso, assumi il controllo.
pagina 404

Gil che c'è?
Ho un presentimento.
Quale presentimento?
Sento che sei in rotta di collisione.
Con che?
Con il destino.
Non sono sicuro di credere nel destino.
Vedremo. Non si può accendere un fuoco sotto la pioggia…
pagina 378

martedì 20 marzo 2012

melma / jack london, il tallone di ferro


Il tallone di ferro, Jack London
Newton Compton Editori
2011

[pag. 707]
capelvenere Una specie di felce, comune nei paesi caldi. Viene anche coltivata vista l'eleganza delle sue foglie.

[pag. 705]
madronos In spagnolo, alberi di fragole.
manzanitas In spagnolo, piccole mele.

[pag. 685]
coolie Nelle colonie asiatiche era così chiamato dagli europei il lavoratore indigeno salariato.

[pag. 682]
suppurare Processo di formazione di pus, conseguente a un'infiammazione.

sabato 17 marzo 2012

barrida / hell's ditch, the pogues

Un cappuccio sulla testa e il passo svelto di chi cerca riparo da una pioggia che non smetterà di cadere certo quella sera. Le piccole barche immobili nel porto e come loro i cigni addormentatisi al riparo delle proprie piume. Il lampione all’angolo allontana solo di qualche metro il buio della notte. Le risa e l’odore di vita che si accalcano al bancone iniettano realtà. La lingua d’istinto pulisce la schiuma rimasta sulle labbra, mentre ti accorgi che non stringi più i denti per la rabbia.



i 400 colpi / I guerrieri della notte


Ci sono notti, cazzo, in cui è un inferno anche tornare a casa. Chi ha sparato a Cyrus? Io?! Io non ero neanche lì vicino... Adesso mi tocca correre sulle note di Nowhere to run tra orfanelli spastici, mazze da baseball e fighette armate, solo per rivedere Coney Island, merda di posto che chiamiamo casa. Warriors...come out to play!? Certo...sono un Guerriero e devo lottare. Fatti sotto vigliacco!

pierre

The Warriors (USA – 1979 - 93')

Attori: Michael Beck, James Remar, Dorsey Wright,
David Harris, Roger Hill, David Patrik Kelly.
Regia: Walter Hill.
Soggetto: Sol Yurick.
Sceneggiatura: David Shaber, Walter Hill.
Montaggio: David Holden.
Scenografia: Don Swanagam, Robert Wightm.
Musiche: Barry De Vorzon, Joe Walsh.




venerdì 16 marzo 2012

lunario / portishead, portishead





8. Seven Months – 4.15

Convincersi negando(si)
tra silenzi e sussurri
oltre parole e affanni

«There's no time to rest
Or to reconsider
For this cruel unsaid, won't concede
»




Vortici, sfumature, ossessioni, nevrosi.
Il pensiero estende i cicli vuoti e silenziosi di semafori lampeggianti.
Sussurri a graffiare la strada.
Lo sguardo ostaggio di orizzonti catarifrangenti e ipnotici binari.
Strati di coscienza in cui avvolgersi.
Soluzioni appena intuite.
Il respiro a vestire i fantasmi della mente.
La ripetitività, un'illusione dietro cui difendersi.

venerdì 9 marzo 2012

i 400 colpi / ...e ora parliamo di Kevin

Bersagli di un novello Robin Hood, disturbato e disturbante, assistiamo impotenti al suo piano di autodistruzione. Tra flashback e flashforward Kevin ci accompagna per mano verso una palestra della provincia britannica, immergendoci in un rosso senza fine. Tutto è più immaginato che visto, questa è la vera inquietudine. E restiamo pallidi e svuotati, come la madre Eva, immersi nel buio della sala.


pierluigi garofano

We Need to Talk About Kevin (Uk, Usa – 2011)
Attori: Tilda Swinton, Ezra Miller, John C. Really e Shioban Fallon.
Regia: Lynne Ramsey.
Sceneggiatura: Lynne Ramsay e Rory Kinnear.
Montaggio: Joe Bini.
Scenografia: Judy Becker.
Fotografia: Seamus McGarvey.
Musiche: Johnny Greenwood.