venerdì 30 marzo 2012

i 400 colpi / 17 filles


Quando la perpetuazione del genere umano diventa gesto politico, scontro generazionale, lotta alla crisi economica e scontro tra generi sessuali nel quale l'uomo è relegato ad attore secondario e donatore di sperma occasionale, siamo di fronte a un film; il punto è che questo film-documentario magistralmente diretto tra neorealismo e piani ravvicinati è una storia vera. Paura o presa di coscienza?

eugenio giannetta

17 ragazze (titolo originale 17 filles), Francia 2011 - 90'

Attori: Louise Grinberb, Juliette Darche, Roxane Duran, Esther Garrel, Yara Pilartz
Regia: Delphine Coulin, Mouriel Coulin
Sceneggiatura: Delphine Coulin, Mouriel Coulin
Montaggio: Guy Lecorne
Fotografia: Jean-Louis Vialard
Scenografia: Benoît Pfauwadel
Produzione: Archipel 35, Arte France Cinema
Distribuzione: Teodora Film


countdown -93 / treefingers, radiohead


...aurore boreali metropolitane...


lapis / città della pianura, cormac mccarthy


Cormac McCarthy
Trilogia della frontiera
Città della pianura
Einaudi, 2008



Le luci lontane della città, a sud, si stendevano sul fondo del deserto come un diadema appoggiato sul panno nero di un gioielliere.
(p. 812)

Quando sei bambino hai tutte queste idee su come sarà il futuro, disse Billy. Poi cresci un po', e cominci a ridimensionare le aspettative. Secondo me alla fine del processo ti riduci a cercare solo di soffrire il meno possibile.
(p. 802)

E sopra ogni cosa una profonda, profondissima consapevolezza del fatto che bellezza e perdita sono tutt'uno.
(pp. 794-795)

giovedì 29 marzo 2012

countdown -94 / prove yourself, radiohead

...un giorno di ordinaria insoddisfazione...




«I want to breathe, I want to grow
I’d say I want it but I don’t know how
I work, I bleed, I beg, I pray,
but I’m better off dead
I’m better off dead
I’m better off».

mercoledì 28 marzo 2012

countdown -95 / backdrifts, radiohead

sospeso sul bordo
un soffio di vento e precipiteresti
un passo indietro. ancora uno. e uno ancora
le impronte non si cancellano
non hai nulla da perdere


«What the hell, we’ve got nothing more to lose
One gust and we will probably crumble
We’re backdrifters»

martedì 27 marzo 2012

i 400 colpi / ACAB - All Cops Are Bastards

Alla ricerca di un equilibrio tra le mie idee e gli ideali che dovrei proteggere, io e i miei “fratelli” troviamo sempre “altro”contro cui combattere. Forse è più facile incolpare un altro che se stessi se la vita non è come la vorrei, forse è più facile usare il manganello piuttosto che il cervello. Forse è più semplice stare in gruppo e non da soli. Ma il cellerino è davvero “figlio di puttana”?

pierre


ACAB – All Cops Are Bastards (Italia, Francia – 2012 - 112')

Attori: Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini.
Regia: Stefano Sollima.
Soggetto: Carlo Bonini.
Sceneggiatura: Barbara Petronio, Daniela Cesrano, Leonardo Valenti.
Montaggio: Patrizio Marone.
Scenografia: Paola Comencini.
Musiche: Mokadelic.



countdown -96 / morning bell, radiohead


La campana del mattino.
La separazione dall'incubo e l'incubo della separazione.
Liberato o ancora schiavo?





«The lights are on but nobody’s home
Everybody wants to be a slave
Walking walking walking…

The lights are on but nobody’s at home
Everyone wants to be a friend

Nobody wants to be a slave».


lunedì 26 marzo 2012

countdown -97 / street spirit , radiohead


Iniziò una sera di una quindicina di anni fa.
E iniziò così.


«immerse your soul in love»

venerdì 23 marzo 2012

etagere / il tallone di ferro, jack london



Dietro lo scaffale Ogni anno ha i suoi (buoni) propositi. Sulla prima pagina del mio primo taccuino del 2012, scorrendo veloce, leggo: l'Atlantico dall'altra parte dell'Atlantico, ancora illudersi di poter correre una maratona, niente più sottotitoli, il derby di Glasgow con la maglietta di Larsson, una foto con Ismael Urzaiz, una notte – sveglio - su un peschereccio, un suo sorriso che immagino irripetibile...leggere l'intera bibliografia di Jack London. Ora non per Martin Eden e per Il popolo degli abissi già da tempo stellette sul mio scaffale, ma la (singola) sfida sembra partire in discesa. Una discesa insidiosa: in regalo da mia sorella, l'edizione della Newton Compton, apparentemente omnia a farsi ingannare dallo spessore. E così dopo Il richiamo della foresta, Il lupo dei mari e Zanna Bianca, il rigoroso ordine progressivo delle pagine mi riserva Il Tallone di Ferro.

Perché leggerlo London doveva avere mani grosse. Le mani di chi ha dovuto lavorare duro per (soprav)vivere. Non importa se in mare a inseguire foche o nel gelo del Klondike a cercare oro. Almeno fino a che il velluto delle pagine di successo scritte non le hanno guantate, quelle mani si sono sporcate e si sono ingrossate. E le mani, anche a distanza di anni, continuano a ricordarti chi sei e da dove arrivi. London ne Il Tallone di Ferro così si schiera solidale dalla parte di chi i calli li ha da sempre a mappare le proprie tremende fatiche. Disumane, sarebbe meglio dire. London, attraverso l'espediente narrativo del ritrovamento di un manoscritto a firma di una figlia della borghesia convertita alla causa della rivoluzione socialista, non fa altro che porre il proprio sguardo coinvolgente e documentaristico su quel 'popolo degli abissi', quel (sotto)proletariato, realmente sfruttato e violentato solo per arricchire i pochi. Oligarchia e Plutocrazia, non a caso, diventano poi nella finzione il volto bifronte dell'indefinito e dittatoriale antagonista che si espande e che bisogna rovesciare. La trama rimane in superficie, perché a interessar(ti) sono solo i reali e spietati ingranaggi di quel sistema di produzione industriale, sempre più calcolato e lucido, capace di dominare e calpestare brutalmente fisico e dignità di chi ha dimenticato se le proprie mani le usa per lavorare o per sopravvivere solo un giorno in più. E di chi imparerà a usare quelle mani, in un futuro lontano, per creare un nuovo e più giusto ordine, dopo che il sangue degli ultimi avrà scavato e ribollito a sufficienza nei moderni canyon di palazzi e strade.

Perché non leggerlo Quel fuoco capace di ardere e scaldare in tante altre pagine londoniane, qui, non scoppietta. Non riesce veramente a tenere compagnia, ad appassionare, a coinvolgere. I personaggi, non solo i protagonisti Avis ed Ernest, si diluiscono troppo nel didascalico racconto di un racconto. E i momenti di 'didattica', declinati anche con le frequenti note, sono artifici che hanno sì il merito di delineare i contorni della storia, calibrandone l'angolo di osservazione, ma asciugano l'empatia, rendendola troppo stanca e accidentale.

La frase  «Uomini, donne e bambini, vestiti di stracci e cenci, oscure intelligenze feroci i cui lineamenti avevano preso le sembianze divine e avevano impresse quelle diaboliche, scimmie e tigri, bestie da soma anemiche, tisiche e pelose, volti esangui da cui la società vampira aveva succhiato la linfa vitale, forme gonfie ingrossate dall'obesità e dalla corruzione fisica, megere avvizzite e teste di morto barbute come patriarchi, gioventù putrefatta e putrefatta vecchiaia, volti di demoni, mostri deformi, ricurvi, sfigurati dalla devastazione della malattia e dagli errori della denutrizione cronica, rifiuto e feccia della vita, un'orda furiosa urlante, stridente, demoniaca».

Déjà lu  Il popolo degli abissi, Jack London; 1984, George Orwell; La macchina del tempo, Herbert George Weels; La giungla, Upton Sinclair; Il mondo nuovo, Aldous Huxley.

giovanni teolis


giovedì 22 marzo 2012

etagere / open, andre agassi


Andre Agassi è un narcisista. Open (ed. Einaudi, pp. 496, euro 20) è l’opera di un narcisista. Io lo amo per questo motivo. Non un narcisista nel senso banale del termine, come lo utilizzano i più o come lo etichettavano i giornaletti, ma un narcisista vero, clinico, infido e sotterraneo. In Open, la storia di un uomo prima e di un tennista poi, fino a che i piani non si sovrappongono (sei ciò che fai), emerge l’ossessione della perfezione, la necessità di approvazione, l’armoniosità sconvolgente della precisione. Emerge la differenza tra i traumi intesi come eventi e i traumi emotivi. Emergono le mancanze della struttura di personalità. Emerge la rabbia, la gestione delle pulsioni e il bisogno spasmodico del controllo. Emerge un rapporto conflittuale con le autorità, che non è altro se non un bisogno di attenzione, una ricerca di comprensione, una richiesta di amore.

Agassi direbbe che non ho capito nulla del libro e mi punterebbe una palla pelosa alla nuca, ma già solo il fatto di essere in contrasto sullo stesso ring che è la vita, unisce i nostri destini. E’ importante che ci sia chiarezza nei confini; che sia un campo da tennis o uno spazio fluido nel quale sguazzare. Agassi è un coraggioso, uno che ha capito le possibilità della tridimensionalità e non si è limitato a vivere la geometria della vita su una retta; è uno che ha saputo dare gli effetti giusti alla vita, alla palla... Il fallimento è solo un modo di crescere, ed è un modo che si sceglie, soprattutto per una mente iper razionale sconvolta da ondate emotive di ansietà e angoscia. Come la sua, come...

Paradossalmente Agassi inizia a vincere quando inizia ad amare e inizia ad amare quando inizia a regredire, ma non nel senso comune del termine, bensì nella libertà di scelta, nell’assenza di pensieri tipica dell’infanzia, tipica dell’innamoramento: non cercare l'amore, cerca con amore. Agassi raggiunge un momento in cui trasforma l’aggressività nevrotica, trasforma le risposte difensive, trasforma tutti i suoi pasticci cognitivi e smette di barare con la vita, smette con Las Vegas, smette di dire bugie a se stesso e a tutti quelli che ha attorno. Smette di recitare una parte. Questo mi fa amare Agassi (e Agassi o lo ami o lo odi); questo mi fa amare il libro. Leggerlo e pensare: lui c’è riuscito, è un passo che voglio fare anche io. Crampi o non crampi, allo stomaco o alle gambe, è un passo necessario per una sopravvivenza che possa tramutarsi e definirsi esistenza.

eugenio giannetta



mercoledì 21 marzo 2012

lapis / open, andre agassi


La vita è un incontro di tennis tra estremi polarmente opposti. Vincere e perdere, amare e odiare, aperto e chiuso. E' utile riconoscere presto questo fatto penoso. Quindi riconoscete gli estremi contrapposti in voi e se non riuscite ad accettarli o a riconciliarvi con essi, almeno ammetteteli e tirate avanti. L'unica cosa che non potete fare è ignorarli.

pagina 490


Certe persone sono termometri, altre termostati. Tu sei un termostato. Non registri la temperatura in una stanza, la cambi. Perciò sii fiducioso, sii te stesso, assumi il controllo.
pagina 404

Gil che c'è?
Ho un presentimento.
Quale presentimento?
Sento che sei in rotta di collisione.
Con che?
Con il destino.
Non sono sicuro di credere nel destino.
Vedremo. Non si può accendere un fuoco sotto la pioggia…
pagina 378

martedì 20 marzo 2012

melma / jack london, il tallone di ferro


Il tallone di ferro, Jack London
Newton Compton Editori
2011

[pag. 707]
capelvenere Una specie di felce, comune nei paesi caldi. Viene anche coltivata vista l'eleganza delle sue foglie.

[pag. 705]
madronos In spagnolo, alberi di fragole.
manzanitas In spagnolo, piccole mele.

[pag. 685]
coolie Nelle colonie asiatiche era così chiamato dagli europei il lavoratore indigeno salariato.

[pag. 682]
suppurare Processo di formazione di pus, conseguente a un'infiammazione.

sabato 17 marzo 2012

barrida / hell's ditch, the pogues

Un cappuccio sulla testa e il passo svelto di chi cerca riparo da una pioggia che non smetterà di cadere certo quella sera. Le piccole barche immobili nel porto e come loro i cigni addormentatisi al riparo delle proprie piume. Il lampione all’angolo allontana solo di qualche metro il buio della notte. Le risa e l’odore di vita che si accalcano al bancone iniettano realtà. La lingua d’istinto pulisce la schiuma rimasta sulle labbra, mentre ti accorgi che non stringi più i denti per la rabbia.



i 400 colpi / I guerrieri della notte


Ci sono notti, cazzo, in cui è un inferno anche tornare a casa. Chi ha sparato a Cyrus? Io?! Io non ero neanche lì vicino... Adesso mi tocca correre sulle note di Nowhere to run tra orfanelli spastici, mazze da baseball e fighette armate, solo per rivedere Coney Island, merda di posto che chiamiamo casa. Warriors...come out to play!? Certo...sono un Guerriero e devo lottare. Fatti sotto vigliacco!

pierre

The Warriors (USA – 1979 - 93')

Attori: Michael Beck, James Remar, Dorsey Wright,
David Harris, Roger Hill, David Patrik Kelly.
Regia: Walter Hill.
Soggetto: Sol Yurick.
Sceneggiatura: David Shaber, Walter Hill.
Montaggio: David Holden.
Scenografia: Don Swanagam, Robert Wightm.
Musiche: Barry De Vorzon, Joe Walsh.




venerdì 16 marzo 2012

lunario / portishead, portishead





8. Seven Months – 4.15

Convincersi negando(si)
tra silenzi e sussurri
oltre parole e affanni

«There's no time to rest
Or to reconsider
For this cruel unsaid, won't concede
»




Vortici, sfumature, ossessioni, nevrosi.
Il pensiero estende i cicli vuoti e silenziosi di semafori lampeggianti.
Sussurri a graffiare la strada.
Lo sguardo ostaggio di orizzonti catarifrangenti e ipnotici binari.
Strati di coscienza in cui avvolgersi.
Soluzioni appena intuite.
Il respiro a vestire i fantasmi della mente.
La ripetitività, un'illusione dietro cui difendersi.

venerdì 9 marzo 2012

i 400 colpi / ...e ora parliamo di Kevin

Bersagli di un novello Robin Hood, disturbato e disturbante, assistiamo impotenti al suo piano di autodistruzione. Tra flashback e flashforward Kevin ci accompagna per mano verso una palestra della provincia britannica, immergendoci in un rosso senza fine. Tutto è più immaginato che visto, questa è la vera inquietudine. E restiamo pallidi e svuotati, come la madre Eva, immersi nel buio della sala.


pierluigi garofano

We Need to Talk About Kevin (Uk, Usa – 2011)
Attori: Tilda Swinton, Ezra Miller, John C. Really e Shioban Fallon.
Regia: Lynne Ramsey.
Sceneggiatura: Lynne Ramsay e Rory Kinnear.
Montaggio: Joe Bini.
Scenografia: Judy Becker.
Fotografia: Seamus McGarvey.
Musiche: Johnny Greenwood.




i 400 colpi / è meglio citare truffaut

«È meglio citare Truffaut»: i quattrocento colpi. Anzi, le quattrocento battute. Non una di più, non una di meno. Buona visione.

giovedì 8 marzo 2012

barrida / blister in the sun, violent femmes

Pomeriggio di asfissiante umidità in una città che si fa ogni giorno sempre più fantasma. Palazzi e semafori stravolti da una luce accecante e bugiarda. Immobili per cercare ombra sul ciglio della strada un piccione e bicchieri di plastica della sera prima. Il pendolo dei pensieri a tracciare traiettorie di movimento possibile. Fermarsi a prender fiato, con lo sguardo aperto all’insù e accorgersi di aver sul volto un arrendevole sorriso. Come una vescica che si gonfia al sole.

gt


mercoledì 7 marzo 2012

etagere / vita e morte di un ingegnere, edoardo albinati


Leggendo vita e morte di un ingegnere di Edoardo Albinati (ed. Mondadori, pp. 150, euro 18) più volte ho pensato di averlo scritto io. Se non scritto, almeno pensato. Pensiero presuntuoso, ma non ho mai nascosto questa mia caratteristica. Ecco, questo libro parla della presunzione. La presunzione di conoscere una persona solo perché la si chiama papà. La presunzione di capire il mondo e conoscere la vita solo perché si è letto Dostoevskij. Credo di far parte di quella schiera e un po’ me ne vergogno, perché poi leggo Albinati e capisco che so poco di mio padre e forse, sarà l’egocentrismo, so poco di me; per non parlare di Fedor.


Un libro che parla della malattia, della morte, di un (non) rapporto padre-figlio. Senza sfondo, senza attori, senza tempo. Una storia. Qualche sigaretta. Poche pagine. Due vite in un libro, perché legate da un simbolismo che va ben oltre le possibilità letterarie, sfocia nella vita vera, nell’iper-realtà. Una gravidanza della fine che dura nove mesi. Io alla casualità non ci credo, non ci ho mai creduto, e non vedo buoni motivi per iniziare a crederci proprio ora. Però credo ai segnali, alla sensazione di felicità nella semplicità delle piccole grandi cose. Credo all’arcobaleno dopo il temporale. Commovente.

Sprechiamo tanto di quel tempo a rifiutare l’autorità, a idealizzare miti, a costruire storie fantasmagoriche sulla nostra famiglia e a paragonarla alle famiglie degli altri; abbiamo le risposte a un palmo di naso, ma non sappiamo porre le domande giuste. Mi appello a Tolstoj, meschino testa di cane che non sono altro: «Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo». Sono convinto che tutte le famiglie si somiglino. Punto. E certe esperienze avvicinano a quella somiglianza più di quanto non si possa immaginare (o sperare), perché «i parenti non si scelgono, toccano in sorte».

eugenio giannetta




melma / paludi di significato

La frase scorre, fluida. Un placido corso di parole. Ma un rivolo sfugge. L'attenzione crea un'ans(i)a. Subito una palude di deduzioni. Melma. Nel suo anagramma, poi, la spinta per disincagliarsi. Ritornare a defluire. Con un significato in più.



martedì 6 marzo 2012

lapis / vita e morte di un ingegnere, edoardo albinati


«La vita non ha soltanto un'evidenza organica, ma poggia su un sentimento che ha a che fare con la curiosità e si manifesta come attenzione. Quando l'attenzione cessa del tutto vuol dire che l'agonia è terminata, il malato non può più prestare attenzione al mondo perché non ne fa più parte».

pagina 131

«Diversamente dall'anima (la quale è fin dal principio un colabrodo, un'elaborata cicatrice, tutta fatta di lacerazioni, strappi ricuciti, smagliata come una vecchia rete da pesca: l'anima è un arabescato tappeto di traumi dal disegno irriproducibile), il corpo ha una sua nativa integrità che non sopporta le violazioni. […] Il corpo è intrinsecamente reazionario alla violenza qualitativa (mito e strumento di ogni rivoluzione), il corpo oppone il mondo e il modo della pura quantità. Il corpo misura attraverso la quantità di sofferenza la bontà delle idee».
pagine 106-107

«Ancora non abbiamo finito di vedere e già vorremmo non aver visto visto, vorremmo tornare all'istante in cui eravamo inconsapevoli».
pagina 85

«Considerazione: viviamo prigionieri del mito della profondità e della complessità, finché la morte, privandoci delle cose più ovvie, le rende ironicamente memorabili. Le superfici cominciano a splendere, splendono le cose secondarie, i ricordi più fiochi e le parole che dicevamo per caso e che non avremmo appuntato nemmeno a matita ora diventano leggenda».
pagina 50

domenica 4 marzo 2012

etagere / la giungla, upton sinclair

La rabbia nasce quando ti rendi conto che il tempo ha saturato ogni infinitesima parte di sé.
La rabbia continua a crescere quando è palese che la tua generazione è figlia della precedente senza che ne abbia ereditato, però, alcun certificato di riconoscimento.
La rabbia ti logora quando la voce del dissenso è un' eco di urla sepolte nel fango del passato.
Pagine ingiallite che accumulano polvere. Un sottile strato che rende perfettamente merito allo sporco che racconta.
Polvere che impregna le mani. Prudono. Ma nessuno, durante la lettura, osa tossire.

Una storia diventa importante quando il nome del protagonista si confonde con il tuo, con quello di tuo fratello o di qualsiasi vicino di casa.
Una storia diventa triste quando il dolore di un uomo, dopo più di cento anni, torna ad essere raccontato nella stessa maniera senza che nessuno ricordi il finale.
Una storia fa paura quando le denunce riempiono il banco dei colpevoli senza che qualcuno possa occupare quello opposto.
Una storia diventa tua quando la carta è superflua e l'intera trama percorre le tue stesse strade e il tuo tempo.


Quattrocentodieci pagine di uomini, donne, padroni, fabbriche, macelli, bambini, vecchi, politicanti, credenti, assassini.
Quattrocentodieci pagine di ingiustizie.
Quattrocentodieci pagine di ferocia.
La giungla.
Senza fiere. Solo Storia.


[Upton Sinclair, La giungla, Milano, Net, 2003]

venerdì 2 marzo 2012

etagere / il tempo è un bastardo, jennifer egan

Il tempo è un bastardo di Jennifer Egan (ed. Minimum Fax, pp. 391, euro 18) è un libro che parla del tempo; affermazione tautologica, ma necessaria. C’è un momento in ogni vita in cui risuona una domanda, che è una speranza, o una richiesta: “Sarà sempre così?”. La risposta ovviamente è no, l’orologio fa tic-tac e scorre inesorabile in ogni vita, ed ogni vita si incrocia ad altre vite e avanti così. Ancora una volta (sempre) è questione di prospettive.

Questo è l’ultimo libro di un’amicizia. Ne ha sancito l’interruzione, la pausa. Curioso che questo libro parli proprio di pause. Le pause della musica e le pause della vita. Due secondi oppure vent’anni. Il tempo è un figlio di puttana, e basta un accento per cambiarlo. Il tempo della musica o il tempo della vita: la differenza tra un tre-quarti e un quatto-quarti, la differenza tra una e o una è.

Pause. E’ importante imparare a sentire la vita nelle pause, è importante imparare ad ascoltare. Si arriva ad un punto, che chiamerò per convenienza mezz’età, nel quale la direzione è ciò che conta di più. Non tanto il perché, il per come, o peggio ancora il per chi, ma la direzione conta, il percorso ha importanza. La musica e i suoi intrecci fanno da colonna sonora a questo passaggio di vita e di storie. Finita la canzone, finite le vite, finito il libro, c'è il silenzio del the end più potente di tante parole, perché (forse) è l’attesa di un nuovo inizio.

eugenio giannetta





lapis / il tempo è un bastardo, jennifer egan


«Ecco, vedi, queste metafore - “trasparente” e “alla luce del sole” - fanno tutte parte di un sistema che noi chiamiamo purismo atavico. Il PA presuppone l'esistenza di una condizione di perfezione etica, che non solo non esiste né è mai esistita, ma di solito viene usata per avvalorare i preconcetti di chi formula il giudizio».
pagina 367


«La pausa ti fa pensare che la canzone sia finita. Invece scopri che non è finita, e per te è un sollievo. Poi però la canzone finisce davvero, perché tutte le canzoni finiscono, ovviamente, e STAVOLTA. LA. FINE. E'. VERA».
pagina 327


«Talvolta la vita ti concede il tempo, la quiete, il dolce far niente necessari a riflettere su questioni che nel rapido corso della vita di tutti i giorni rimangono in larga misura inaffrontate: Con quanta precisione ricordiamo il meccanismo della fotosintesi? Siamo mai riusciti a utilizzare il termine ontologia in una conversazione? Qual è stato l'istante preciso in cui ci siamo leggermente disallineati dalla vita tutto sommato normale che conducevamo fino a quel momento, piegando in modo infinitesimale a sinistra o a destra e imboccando la traiettoria che in ultima istanza ci ha portati nel luogo in cui ci troviamo attualmente?».
pagina 210